“La Illinois Central non significava solamente ottimi affari mentre veniva costruita e mentre nuove città venivano realizzate intorno ad essa e alla terra coltivata, ma aveva scritto la condanna a morte dellla (vecchia) agricoltura dell’Occidente. “1
1J. A. Schumpeter, An economic interpretation of our time: The Lowell Lectures, in The Economics and Sociology of Capitalism, Princeton, N.J., Princeton University Press, 1941, p. 349
Il progresso tecnologico è un processo di cambiamento capace di modificare profondamente e permanentemente la struttura della società, ribaltando i [fragili] equilibri instauratisi nel corso del tempo. La prima rivoluzione industriale ne è un esempio. L’economia, ovviamente, non ne è esente; pertanto, è compito degli economisti includerlo all’interno dei propri modelli cercando di spiegarne le varie dinamiche ed implicazioni di policy. Uno dei primi pionieri fu Joseph A. Schumpeter, economista di Harvard, il quale sottolineò l’esistenza di un meccanismo endogeno di rinnovamento all’interno del sistema economico noto come il processo di distruzione creatrice, proprio dei sistemi capitalistici. Secondo Schumpeter tale meccanismo ha origine nella funzione dell’imprenditore il quale ha il compito di individuare e realizzare nuove possibilità, come l’introduzione di nuove qualità di beni già esistenti, la creazione di nuovi prodotti o di nuove tecniche produttive, o anche della ricerca di diverse fonti di approvvigionamento in nuovi mercati. L’imprenditore-innovatore è dunque spinto dall’impulso di competere sul mercato cercando di trarne profitto tentando di affermarsi sui vari competitors; principi lontani da quelli neoclassici che vedono l’imprenditore come agente razionale con l’obiettivo di massimizzare i profitti e minimizzare i costi di produzione.
Lo sviluppo di nuove tecnologie rivoluziona continuamente il tessuto industriale provocando cambiamenti strutturali capaci non solo di rendere obsoleti determinate tipologie di beni, ma anche alcune mansioni. Uscendo per un momento dagli schemi economici è possibile trovare applicazione concreta del processo di distruzione creatrice nel campo dell’informatica e dell’elettronica: la prima legge di Moore. Semplificando quanto osservato da Gordon Moore, cofondatore di Intel, è possibile aspettarsi che la velocità e la capacità dei nostri computer aumenti ogni due anni ad un tasso di crescita esponenziale. Inoltre, il loro prezzo sarà via via minore grazie anche al minor costo di produzione delle componenti necessarie per l’assemblamento (es: prezzo dei semiconduttori).
Osservando il lato della domanda il progresso tecnologico intacca, seppur indirettamente, le preferenze dei consumatori i quali potranno ottenere prodotti sempre più efficienti a prezzi vantaggiosi, o almeno così dovrebbe essere in linea
teorica. Analizzando il lato dell’offerta è possibile osservare a pieno l’effetto della distruzione creatrice. Le imprese operanti in settori in crescita o che dispongono del capitale necessario per innovare ed affinare le tecniche di produzione godranno di profitti maggiori e conquisteranno nuove quote di mercato (lato creativo delle innovazioni); mentre quelle meno efficienti o, semplicemente, che non dispongono dei mezzi necessari per fronteggiare il cambiamento, usciranno dal mercato (lato distruttivo delle innovazioni).
Purtroppo la questione presenta sia effetti positivi che negativi innescati dal processo di distruzione creatrice. Se da un lato il progresso tecnologico porta ad un miglioramento del benessere della società, dall’altro non bisogna sottovalutare i possibili problemi causati dal continuo rinnovamento. Ad oggi il più comune ed il più discusso riguarda la cosiddetta “disoccupazione tecnologica”, ovvero la perdita del posto di lavoro dovuta all’introduzione di un certo tipo di automazione. Se nel breve periodo gli economisti trovano un luogo comune nell’affermare l’esistenza della relazione inversa tra progresso e disoccupazione, gli animi si scaldano quando entrano in gioco le scelte di policy per il lungo periodo. A tal proposito, basandosi sull’evidenza empirica, ricordiamo il celebre lavoro di Enrico Moretti del 2010, Local Multipliers. Nella sua ricerca l’economista italiano verificò come per ogni posto di lavoro qualificato nell’hi- tech, si creino circa due posti di lavoro nei settori non tradable all’interno della realtà locale. Un aumento del numero dei lavoratori associato ad un aumento dei salari d’equilibrio porterà ad un incremento della domanda di beni e servizi locali, come ad esempio nel settore della ristorazione, dei servizi legali, e via dicendo. L’effetto dei moltiplicatori varia da settore a settore: l’evidenza empirica mostra che son maggiori per i settori altamente tecnologici (es: Silicon Valley). Pertanto, nel lungo periodo è stato mostrato come lo sviluppo e l’adozione di nuove tecnologie non aumenti la disoccupazione, bensì la riduca.
Come risolvere nel breve periodo gli effetti negativi innescati dal progresso tecnologico? Sono presenti innumerevoli proposte, alcune assurde come vietare l’innovazione, alcune “elettorali” come bombardare i potenziali disoccupati di sussidi.
Purtroppo, ad oggi, non esiste una soluzione universale al problema. Pandemia a parte, i governi dovrebbero iniziare a dar via ad una serie di riforme strutturali per permettere alle imprese ed ai lavoratori di muoversi con il progresso tecnologico e non di remarci contro, magari rendendo il mercato del lavoro più flessibile e meno “fossilizzato”. Se inoltre, anziché tagliare i fondi, si stimolasse un miglioramento dell’accessibilità e della qualità dell’istruzione si potrebbe fare un “piccolo” investimento sui giovani, spesso dimenticati.
Bibliografia:
https://eml.berkeley.edu/~moretti/multipliers.pdf
Blanchard O., Amighini A., Giavazzi F., Macroeconomia. Una prospettiva europea, il Mulino, Bologna, 2016
Sitografia:
https://www.investopedia.com/terms/m/mooreslaw.asp
https://www.bls.gov/mxp/computer.pdf
http://www.feduf.it/container/scuole/joseph-schumpeter
Scritto da Marco Tibullo